I am Angela MariaPRIMO GIORNO DI SCUOLA
il primo giorno di scuola negli anni '70 era il primo di ottobre

Primo ottobre, primo giorno di scuola, primo giorno di solitudine. Almeno così funzionava quando ero alla scuola dell’obbligo.

Già, quando iniziai le elementari il primo giorno di scuola era il primo di ottobre. Ed essendo figlia di insegnanti era anche un giorno di solitudine ed imbarazzo. Mia madre e mio padre erano impegnati ad accogliere i loro alunni nelle loro scuole. Io rimanevo nell’angolo dello spazio adibito a festa per l’inizio della mia scuola cercando di essere trasparente. Per imbarazzo, per sofferenza, per senso di abbandono avrei voluto essere ovunque ma non lì. Dal mio rifugio interiore guardavo i compagni di scuola. Alcuni erano in effusioni “amorose” agganciati alla mamma, altri piangevano, altri erano felici e giocosi. Io ero spaesata, mi sentivo fuori posto, mi sentivo un’estranea abbandonata all’ignoto.

Nel profondo sento ancora quella sensazione di abbandono da una parte e di non appartenenza dall’altra. In quel frangente la scuola non era certo luogo di accoglienza e serenità. Sicuramente questo mood ha influenzato il mio vivere la scuola. Chissà se da questa sensazione è nato il mio profondo senso del dovere. Come dire, la scuola da subito è stata catalogata nella mia mente come luogo di dovere e “sofferenza” piuttosto che di piacere ed inclusione.

Attenzione, per inclusione non intendo ciò che sta succedendo nella scuola d’oggi, che considero essere veleno per la formazione della società. Infatti, oggigiorno credo sia diventato un concetto esasperato, che anziché valorizzare le differenze esaspera a tutti i costi il volere e dovere essere e/o fare “l’altro”. Un esempio concreto? Io sono terribile a lanciare la palla; eppure, gli sport come la pallavolo mi piacciono. Perché dovrei a tutti i costi giocare in una squadra di pallavolo? Sarebbe egoismo, mancanza di rispetto degli altri, che sarebbero limitati nell’esprimere le loro potenzialità per adeguarsi alla mia “inclusione”.

Mi fermo qui. Ma la vita reale esplode di esempi. Non si potrebbe, quindi, accettare i propri limiti e trasformarli in potenzialità senza limitare quella altrui? Vivendo con onestà, coscienza, umiltà e consapevolezza di non dovere essere per forza il centro del mondo si potrebbe vivere anziché sopravvivere.

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Sed ut perspiciatis unde omnis das ist wirklich iste natus.