(Soprav)vivereIL LIMITE DELL’ ABISSO
il limite dell'abisso

La costa più occidentale è il limite dell’abisso prima del precipizio nelle acque dell’oceano. Ora è conosciuto ma qualche centinaio d’anni fa era un vero salto nell’ignoto. “Terra, terra” gridato dalla cima dell’albero maestro delle navi erano le parole più desiderate dopo avere lasciato la costa. Terra che si lascia per arrivare ad altra terra, sconosciuta, magari da esplorare, da conquistare e/o da amare.

Costa alle spalle, con lo sguardo fisso ad un oceano di acqua, di lacrime, di paure, di sofferenze e di sopravvivenza alla potenza della natura. Ci si affidava al sole, alle stelle e a qualche rudimentale strumento astronomico. Ora la mente umana ha prodotto strumenti e mezzi, che possono guidare l’uomo senza l’angoscia dell’ignoto. Eppure, ogni volta che dall’aereo guardo sotto di me la costa allontanarsi provo un senso di “vuoto”, di trepidazione. “Ecco, per ore sotto c’è solo acqua” è un pensiero che mi penetra dentro.

Ed allora mi immedesimo negli esploratori della prima ora, nei marinai che a modo loro mi permettono oggi di essere qui, in volo verso terre lontane. Un sentimento di gratitudine ma anche di fatale empatia. Penso a Kino che a bordo di una caravella del Seicento per mesi ha affrontato l’ignoto per vivere tra gli indios, essere il pioniere e fondatore di ciò che oggi noi godiamo grazie al suo coraggio, tenacia e alla sua intelligenza pragmatica.

Oggi guardare le nuvole dall’oblò di un aereo dà una sensazione di artistica tranquillità. Beh, turbolenze a parte. Secoli fa alzare gli occhi e vedere le nuvole coprire il sole e magari oscurarsi in tempesta era un momento fausto. Ma perché avventurarsi nell’infinito ignoto? I vari motivi sono storicamente noti.

Qui mi riferisco a quella capacità umana di spingersi oltre il limite dell’abisso. Limite fisico, geografico e dell’essenza umana. Sì, perché quei viaggi non erano solo fattori “esterni”. Erano trasformazioni dentro. Dopo essere passati da un pot-pourri di sentimenti forti ed ancestrali legati alla sopravvivenza in mare, non poteva che essere altrimenti. Perché in tutti noi c’è un Ulisse che naviga la nostra anima.

Qual è il nostro limite dell’abisso o meglio nell’abisso?

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